Il 30 settembre 1945 si svolse a Marzabotto la prima commemorazione degli eccidi, a un anno dalla strage nazista di Monte Sole (29 settembre – 5 ottobre 1944), causa di 770 morti nei comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi. Fu una cerimonia modesta e raccolta alla quale parteciparono i superstiti e i familiari dei caduti, un rappresentante dell’Arcivescovo di Bologna, un rappresentante dell’esercito, un rappresentante del Comitato di Liberazione Nazionale, gli amministratori locali. Il Comune era retto da una giunta provvisoria presieduta da Vito Nerozzi (le prime elezioni amministrative dopo la liberazione si svolsero nel 1946). L’orazione ufficiale venne tenuta da Silvano Bonetti, partigiano della 7° brigata GAP Gianni Garibaldi e parente delle vittime: suo padre era stato ucciso in un campo di prigionia tedesco a Colle Ameno, a pochi chilometri da Marzabotto, nel comune di Sasso Marconi. Bonetti ripercorse i tragici mesi dell’occupazione tedesca nell’area di Marzabotto: la nascita e l’attività della brigata Stella Rossa, le uccisioni dell’estate1944 per mano di nazisti e fascisti, l’incendio delle abitazioni, le asportazioni di animali, le deportazioni dei rastrellati e alcuni dei più cruenti episodi della strage nazista del settembre-ottobre 1944. In particolare qui vengono riportati i passaggi relativi ai rastrellamenti e agli eccidi che precedettero la strage del 29 settembre – 5 ottobre 1944.
Per una più puntuale ricostruzione del numero degli uccisi nelle singole località si rinvia alle nostre note nel testo introduttivo a questa sezione e alle ricerche edite dal Comitato Regionale per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto, nel volume Marzabotto. Quanti, chi e dove, citato nella bibliografia pur restando la relazione di Bonetti di grande interesse sia per la parte descrittiva e che per le riflessioni sulle ragioni di tanta violenza.
Dal testo della relazione commemorativa tenuta in Marzabotto il 30 settembre 1945, primo anniversario degli eccidi, dall’orfano di guerra Silvano Bonetti.
[...] Fin dall’immediato 8 settembre si radunarono sui nostri monti gruppi di Partigiani che andarono in seguito aumentando di entità fino a destare preoccupazioni in seno ai vili fascisti del luogo che, incapaci di affrontare da soli quelli che spregiatamene chiamavano ribelli, si rivolsero ai tedeschi. Il 28 maggio segna la data del primo rastrellamento. Infierì per tre giorni nelle località al di là del Reno, con impiego di artiglieria e di aviazione e si concluse con un primo triste bilancio: 52 caseggiati dati alle fiamme e una decina di civili uccisi per rappresaglia. Di essi due erano del nostro Comune: Galantini Emilio e Valeriani Giuseppe; quest’ultimo disgraziato non avendo udito l’ingiunzione di una sentinella perché sordo, fu colpito senza misericordia sulla pubblica strada: ambedue erano vecchi, poveri lavoratori della terra che conoscevano soltanto al mondo la cruda lotta per il pane quotidiano: per questo furono uccisi; quei primi innocenti segnarono l’inizio delle stragi che si susseguirono fino ai tristi giorni dell’evacuazione.
Il 24 giugno si effettua il rastrellamento del Monte di Vignola. Al ritorno dall’azione, la canaglia repubblicana e germanica non sazia di avere incendiato varie case, non sazia giacché ha potuto torturare e uccidere un solo Partigiano, vuole altro sangue: a Pian di Venola sono strappati dalle case e fucilati sulla pubblica piazza: Grilli Tommaso, Benini Giovanni col figlio Armando e Raimondi Alberto. Il giovane Sandrolini Silvano riesce a fuggire sotto il plotone di esecuzione: lascerà poi la vita combattendo coi Partigiani a Monte Radicchio. Vari autocarri di ostaggi vengono condotti a Bologna e solo dopo ardua fatica dell’indimenticabile Parroco di Sperticano, Don Giovanni Fornasini, tutti possono ritornare alle loro case. Inutile dire che anche questo rastrellamento come quelli che precedettero e seguirono fu accompagnato da una spogliazione quasi totale delle località investite e dalla depredazione di quasi tutto il bestiame dei luoghi. La dolorosa serie continua. Il 23 luglio è la volta di Malfolle. Causa un attacco subito dai Partigiani, i tedeschi rastrellano gli uomini in massa e senza distinzione: in località Fasolo vengono portati Melega Aldo, Zanardi Francesco, Simonini Valentino, Cucchi Fernando, Golfetti Pietro, Stanzani Emilio, Serenari Celso, Venturi Giuseppe, Minelli Mario, Franchi Fermo e Franchi Medardo. Questi ultimi tre, accortisi della sorte a loro riservata, tentano la fuga. Il Minelli è colpito a morte, i fratelli Franchi riescono a fuggire. I rimanenti vengono allineati e con varie raffiche uccisi. I corpi sono gettati presso un fienile, tosto incendiato. Forse qualcuno è ancora agonizzante: ai tedeschi non importa; in un baleno le fiamme avvolgono i corpi dei disgraziati. Un altro gruppo è destinato ad eguale sorte: un Sacerdote, Padre Samovilla, ottiene la grazia. Uno che tenta di fuggire, Aldo Stanzani, è prontamente ucciso. Le donne e i bambini sono trascinati a Bologna quali ostaggi, gli uomini mandati in Germania, chi sull’Appennino con l’organizzazione Todt. Le innocenti creature prese in ostaggio vengono rilasciate per interessamento solerte di Padre Samovilla ed a piedi ritornano da Bologna alle loro case di cui, dopo il passaggio delle iene di Hitler, non esistono ormai più che i resti abbruciacchiati. È destino che ogni frazione di Marzabotto abbia il battesimo delle crudeltà. Il 5 agosto a Luminasio, Casa del Bue, altri sei inermi sono trucidati: Venturi Enrico, Betti Francesco ed Armando, Beghelli Arsenio, Neri Dionigio e Calzolari Camillo. Tutti gli uomini che vengono incontrati sono condotti come ostaggi a Montasico. Solo l’intervento di Don Fornasini riesce a salvare qualcuno; alcuni subiscono la deportazione in Germania. Ma le brigate nere non vogliono essere da meno: il 22 agosto fucilano a Pian di Venola Rovinetti Ettore e Burzi Marcello, colpevoli questi pure di essere pacifici lavoratori, che non la pensano come i delinquenti in camicia nera.
Questi in conciso sono gli avvenimenti che precedettero lo sterminio operato alla fine di settembre: ormai i tedeschi ritenevano Marzabotto covo dei Partigiani: i repubblichini locali continuamente li aizzavano, indicando come colpevoli di partigianesimo tutta la popolazione in massa già, per essi era l’essere Partigiani il dare un pezzo di pane e un sorriso di comprensione a tutti quelli che per evitare rappresaglie, per sfuggire la più obbrobriosa delle deportazioni, per sottrarsi dal servire una causa sostenuta da traditori, erano costretti a vivere alla macchia [...]. Da: Il Martirio di Marzabotto, a cura del Comitato comunale organizzatore della cerimonia per la consegna della Medaglia d’oro al valore militare, Osmi, Bologna 1949.
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