GLI OBIETTIVI
Non dimenticare Srebrenica e rimettere all’ordine del giorno della comunità internazionale la necessità di dare dignità e cittadinanza a chi, avendone il diritto, sceglie di rientrare, facilitando in ogni modo percorsi di parola e di convivenza, è stato il punto di avvio del Progetto”Going back to Srebrenica”.
Si è voluto, in particolare, facilitare il rientro, nella loro città di origine, di donne rifugiate a Tuzla dopo la drammatica caduta di Srebrenica, attraverso azioni di empowerment, di autonomizzazione economica e di income generation, di sostegno ad esperienze di autorganizzazione ed associative.
L’itinerario del progetto è iniziato insieme alla preparazione del decennale del 2005 del genocidio di Sreberenica: dopo quasi 10 anni dalla drammatica caduta di Srebrenica, dopo che l’11 Giugno 2004 il governo della Repubblica Serpska ha accettato il rapporto stilato da una commissione indipendente non legata al governo, nella quale vengono elencati i crimini di guerra del generale Ratko Mladic, dell’esercito serbo di Bosnia nell’area di Srebrenica nel luglio del ?95, dopo la condanna del generale serbo Radislav Krstic da parte del Tribunale penale internazionale e la dimmissione del Governo Olandese nel 2002, per le responsabilità avute, le donne scampate, infatti, hanno iniziato un lento ma significativo processo di rientro nella città, che, con gli accordi di Dayton, è stata assegnata alla Repubblica Serpska.
Le donne rifugiate vivevano e vivono una condizione drammatica, sono donne che hanno vissuto il dramma e la violenza della perdita dei congiunti, l’attesa senza fine degli scomparsi, la solitudine e la responsabilità di crescere i figli e le figlie in condizioni di povertà, l’esperienza della vita senza speranza nei campi dei rifugiati, il limbo di un’ospitalità senza cittadinanza e di un rientro senza garanzie.
Anche ora Srebrenica è una città dove chi, bosgniacco/a, già ci abita e chi ci torna fa l’esperienza dell’isolamento.
Going back to Srebrenica è stato un progetto di accompagnamento, di aiuto, supporto al rientro e all’autonomia delle donne rifugiate a Tuzla e rientrate a Srebrenica, proposto dalle donne che hanno fondato l’ associazione Zene Srebrenice.
Il progetto è partito e si è sviluppato all’interno di una fitta rete di scambi femminili che proseguono una storia iniziata nel 1993, quando due donne dell’ associazione Orlando e un uomo del GVC si recarono a Tuzla, su indicazione di una donna italo-yugoslava, Liliana Radmanovic.
Quel viaggio getta i semi di un’alleanza che farà nascere il gemellaggio fra Tuzla e Bologna e darà le condizioni materiali di nascita dell’associazione Tuzlanska Amica.
Questi legami mai interrotti hanno portato, nel 2004, a Bologna, insieme ad Irfanka Pasagic di Tuzslanska Amica, partner del progetto, Nura Begovic e Hajra Catic, che oltre a narrare gli orrori della loro Srebrenica, ci mostrarono orgogliose un progetto di rientro al femminile, una fabbrica per la pasta, una fabbrica per dare lavoro, potere e dignità alle donne, congiunto all’obiettivo vitale di dare dignità e riposo alle vittime del genocidio con un memoriale e un’ azione internazionale: vita, pacificazione, giustizia e memoria .
Le donne di Zene Srebrenice nel 2004 chiesero aiuto a noi e a questa nostra terra e da quel giorno è iniziato un viaggio, che ha allargato la loro rete di relazioni e la nostra e ha portato a Srebrenica molte persone e molte voci.
Chi va oggi da Bologna al memoriale di Potocari prova un senso di riconoscimento: Hajra Catic avendo visto a Bologna i nomi scritti sulla lapide bianca in piazza Nettuno e a Marzabotto quelli scritti sulle lapidi del Sacrario, ha voluto riportare quell’emozione a Potocari.
La costruzione del progetto è stata condivisa, partendo dal fatto che alcune donne rifugiate di Srebrenica si sono costituite a Tuzla in associazione, l’Associazione Zene Srebrenice, e hanno scelto di mescolare la loro attività associativa a Tuzla e a Srebrenica con il loro rientro a Srebrenica, come cittadine attive di quella città.
Con il progetto si è voluto rendere visibile, significativa e sostenibile la scelta di rientro a Sebrenica di queste donne per dieci anni rifugiate a Tuzla, donne di quella comunità senza uomini, che è la comunità bosniaca delle sopravvissute di Srebrenica e delle loro figlie e dei loro figli, sostenendone le iniziative, con il supporto dell’Associazione Amica di Tuzla, attraverso l’Associazione Zene Srebrenice, sia dal punto di vista della sostenibilità economica della vita delle rientranti, con il sostegno all’avvio di un laboratorio per la pasta, sia dal punto di vista del loro sostegno nel momento del rinnovarsi del trauma, in una situazione a forte rischio di isolamento.
Il progetto ha inteso sostenere l’avvio di una rete di donne, che si è adoperata per non disperdere la memoria e per costruire azioni di convivenza, dando continuità al lavoro dell’Associazione Zene Srebrenice, che si è adoperata per mantenere viva la memoria del dramma di Srebrenica, collaborando con diverse organizzazioni e realizzando numerose iniziative.
Il cuore del progetto è stato l’avvio della fabbrica della pasta, per dare forza alle donne dell’associazione e per accompagnarne alcune nella loro scelta di autonomia attraverso il lavoro.
Le protagoniste sono quindi le donne di Zene Srebrenica.
Le compagne e i compagni di viaggio di questo progetto, reso possibile da un contributo finanziario della Regione Emilia Romagna, sono stati in particolare l’associazione Tuzslanska Amica, il Comune di Marzabotto, il Comune di Srebrenica, l’Associazione Langer, l’Associazione Mila donne ambiente di Pescara.
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